martedì 29 settembre 2015

Ci vediamo a Murmansk. (pt.2)

Da quel giorno al Bistrot ne passarono alcuni, uno dietro l’altro, e durante ognuno di questi, il libro rimase sempre un punto fisso nella mia mente, tra i miei pensieri; un po’ per l’incontro assurdo; un po’ perché non riuscivo a riprenderlo in mano per capirci qualcosa. E la cosa mi mandava ai matti.
Tuttavia quando finalmente, dopo circa una settimana, ebbi occasione di ritagliare un po’ di spazio solamente per me e lui, capii che molto probabilmente, da quell’istante, la fatica più grande l’avrei fatta per staccare gli occhi da quelle pagine.
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Il livello di suicidi nell’esercito russo è altissimo.
Molti deboli muoiono di malattie che avrebbero potuto essere curate.
Molti “scompaiono”: partono per la leva e non se ne sa più niente.
Molti non ce la fanno. Ma io si. Ce l’ho fatta. E insieme a chi ce la fa con me, e prima, e dopo me, io, e loro, siamo l’orgoglio e la forza di questa nazione.
Il mio nome è Irek Aleksandr Volkov. Marinaio della flotta del Nord. Comandante del sottomarino TK-20. Classe Akula.
Attualmente sono di stanza nel golfo di Kolsk. Presso Murmansk. Dopo tre mesi in mare, siamo sbarcati da una settimana.
Murmansk.
La nostra “porta sull’Artico” è una giovanissima città di pescatori e marinai di 200.000 abitanti. Circa.
All’inizio, nel 1916, quando venne costruita dal nulla, fu dotata di un bacino navale di dimensioni colossali.
Ma non bastavano gli uomini, non bastavano le braccia, e soprattutto non bastavano i pescatori.
La mancanza venne colmata in breve tempo:  ogni sabato mattina all’alba, un nostromo e 3 marinai al seguito venivano spediti, con tanto di carretto, per le bettole a ‘’prelevarne’’ alcuni ospiti. 
Caricavano quegl’uomini come sacchi di patate, e con ‘alcuni’, intendo tutti coloro che avevano alzato il gomito la sera prima. Li buttavano sui pescherecci e dopo avergli fatto passare la sbronza li mettevano a lavorare. Medico? Ti svegliavi ed eri diventato un pescatore. Punto.
La principale fornitrice di tali “collaboratori” era Shangai. Tant’è che uno quartieri della città all’inizio era abitato da cinesi. Per quanto possa sembrare strano, i primi abitanti di Murmansk furono proprio loro.
Commerciavano il samogon, una vodka di bassa qualità fatta in casa, atta a scaldare gli animi dei neo pescatori, e la chanzha, vodka anch'essa ma di origine cinese; in poco tempo, vodka e gioco d’azzardo trasformarono il giovane e robusto porticciolo in una Cape Town oltre l’Artico.
Ma cinesi e mignotte o meno, Murmansk era nata sostanzialmente dalla guerra e per la guerra.
Durante la prima guerra mondiale avevamo disperatamente necessità di rifornimenti: l’unica soluzione era costruire un porto nel Golfo di Kolsk e una ferrovia che ci arrivasse da San Pietroburgo. La ferrovia fu costruita in un anno dai prigionieri tedeschi e austriaci, dai profughi dei governatorati occidentali e dai cinesi. E Murmansk si riempì rapidamente d’abitanti. E di soldati.
Vicino Murmansk ha sede la base della flotta del Nord, la Severomorsk, e le basi dei sottomarini atomici. Direttamente entro il perimetro della città invece, si trova la base dei rompighiaccio atomici e una stazione elettrica nucleare. Qui tutto è nucleare.
La prima volta che salpai da qui, passai la notte precedente la mia partenza, l’ultima della mia licenza,  in un locale dove un vecchio ubriaco mi impresse a fuoco nella memoria le parole che, adesso, ogni volta che torno, sento riecheggiare nella mia testa: ‘’Murmansk è la bettola russa del mare di Barents col culo su un focolaio pronto a scoppiare al minimo urto. E questo perché il mare non ghiaccia mai.’’.  Si fermò per bere, e sbattè il palmo della mano indignato. Io lo guardavo e basta.
‘’Non mi guardare così ragazzo! Non fissarmi così. So quel che dico. Il mare non ghiaccia mai qui, no?! sai cosa vuol dire questo, ragazzo mio?! Questo è il motivo per cui hanno messo tutta questa merda radioattiva nel mio mare. Fai finta di niente e muori lentamente. Io anche faccio finta di niente. E morirò. Nasciamo segnati. Ma io darei la vita per questo posto proprio come te. Per questo mare avvelenato che non ghiaccia mai.’’ Fece un’altra pausa e abbassò la voce stringendo gli occhi. Sembrò volesse continuare. Ma rimase zitto, e io gli feci compagnia nel suo silenzio.
Ogni volta che torno qui, ripenso a quelle parole. Alla faccia di quell’uomo. A quella che poteva invece essere stata la mia, di faccia, mentre parlava. Ogni volta mi ripeto ‘’ Nasciamo segnati. Ma moriremmo tutti per questo mare. Per questo nostro paese.’’.  ogni volta ripenso a quello che è successo.
K-141 kursk, classe Nato Oscar II
La mattina dopo, mentre il mio cervello combatteva col marchio che quel vecchio aveva impiantato in me, ricordo che tre quarti di quello che sarebbe stato il mio equipaggio era rimasto nel bacino navale per seguire o eseguire in prima persona i lavori di manutenzione del nostro sottomarino. Ma per quel che ne sapevo, dire che si trattava di una creazione perfetta era poco. Non aveva nessun problema. Nessun difetto. Gennadij Ljachin era un ottimo comandante.  E io mi sarei imbarcato per la prima volta come ufficiale di rotta. A bordo del sottomarino nucleare migliore degli ultimi 20anni. Il K-141.

Il Kursk.


- Alessandra Bartolomei

giovedì 24 settembre 2015

Impressionami.

Buonasera lettori!
La settimana scorsa ci eravamo lasciati con un articolo un po' particolare, insolito.
Questa volta rientriamo un pochino di più nei canoni dell'arte e parliamo delle impressioni.
Fondamentalmente non è qualcosa di oggettivo, anzi.
"Impressionante". Un bell'aggettivo.
"Impressionante". Lo utilizziamo quando siamo senza parole, quando non serve aggiungere altro. Tutto viene detto dal silenzio. Parla da sé.

Monet decise che anche i suoi quadri dovevano lasciare le persone impressionate. Da qui nasce l'Impressionismo, una corrente artistica nata nel 1874 da un gruppo di artisti che desiderava mostrare cosa volesse dire "sentirsi liberi". La tela diveniva un album in cui riporre delle sensazioni, delle impressioni. Una sorta di fotografia, una voglia di ricordare.
Ricordare, attraverso dei quadri, delle giornate, dei sorrisi, dei baci che vengono rubati al tempo. Vengono rubati e impressi, per sempre.
Claude Monet cominciò in questo salone colmo di menti e, poi, continuò da solo. Tant'è vero che famosa fu una delle sue affermazioni in merito al suo lavoro: "Ho sempre lavorato meglio in solitudine e secondo le mie sole impressioni".
Impressione. Soffice anche nel suono, molto fluida come parola, inconsueta. L'impressione non comprende solo il cervello, ma anche il corpo. Te la porti dentro, te la senti addosso. La vedi correre e lasciare brividi, sensazioni.
Le sensazioni legate ad un ricordo, legate ad un posto, legate ad una persona.
Le impressioni che si intrecciano a queste, che si fondono, che ci fottono.
Sono comunque legate a cose passate. Ad attimi che, probabilmente, non rivivremo mai più. Tuttavia ci accompagnano e questo era l'intento di Monet.
Voleva che le sue venissero portate avanti. Voleva che scindessero dal tempo, dall'epoca, dal suo paese. Voleva che diventassero anche un po' nostre, in un qualsivoglia modo.
Una delle sue produzioni più famose fu quella delle "Ninfee". Comprende un vasto numero di quadri, addirittura più di 70 tele in cui vengono proposte le ninfee del suo giardino.
Gli ricordavano sua moglie, sempre intenta nel curarle. Gli ricordavano suo figlio, morto troppo giovane, fin troppo giovane.
Le ritraeva a qualsiasi ora del giorno. Una tela dopo l'altra. Come se dipingere fosse l'unico modo di mantenere impresso il ricordo di qualcuno che, effettivamente, se n'è andato. Per sempre.
Era il suo modo di sentire le mani di sua moglie carezzargli il corpo.
Era il suo modo di vedere suo figlio varcare la porta di casa.
Erano sensazioni che manteneva vive con la pittura. Anche se non ne fu mai pienamente soddisfatto.
Si sentiva indietro rispetto all'effettiva impressione, come se non riuscisse mai a raggiungerla. Ed è per questo che finita una tela, ne cominciava un'altra. Ininterrottamente.


Ninfee, 1920. Pennellate veloci compongono questo quadro. Toni di blu, giallo e rosso cercano di colorarlo. Di rimarcare dei tempi andati, di ricordare. Sicuramente non qualcosa di bello, sennò i colori sarebbero stati palesemente più chiari, accesi. Erano mancanze. Erano lacrime. Era la notte che, si sa, appartiene ai poeti innamorati, agli ubriachi e a chi manca qualcosa. E a chi manca qualcuno, più probabilmente.
Ognuno di noi pensa a ciò che è stato, a come sarebbe stato se...ognuno di noi ha le sue ninfee notturne a cui, certe notti, si lega. E ognuno di noi vuole e cerca un modo per mantenere vive le sue sensazioni, le sue impressioni.

Anche le sigarette possono diventare raccoglitori di ricordi legati ad un passato ormai scolorito.
Già anche il fumo può farsi carico di questi sassolini che ci teniamo dentro. Anche questo vizio mortale ha la capacità di farci sentire vivi, dieci minuti.
Ho classificato tutte le sigarette che ho assaggiato.
Ho analizzato la prima impressione. Il sapore del tabacco. Il modo di disegnare sul filtro. Ogni sigaretta mi lascia qualcosa, o meglio, risveglia una sensazione messa a tacere, forse per troppo tempo.
Le Marlboro Light mi hanno sempre dato l'idea di chi desidera un'avventura di una sola notte.
Le Camel Blue di chi lancia un sospiro. Lo butta fuori. Affida al fumo un ricordo di cui non vuole avere memoria.
Le Winston Blue sono di chi si sente stretto. Ha voglia di libertà.
Le Marlboro Rosse sono di chi ha bisogno di emozioni forti o di ricordare una forte emozione.
Anche le sigarette.

Anche la musica, le canzoni dedicate e quelle che mai dedicheremo. Ogni cosa, se si presta bene attenzione, lascia o risveglia qualcosa dentro di noi. Ci rimanda indietro di anni o di secondi. Ci incastra in passati sopiti, ci fa sperare in futuri del tutto incerti.
L'impressionismo si basava sul far nascere nell'osservatore una sensazione che, forse, per troppo tempo era stata taciuta. Rischiava di venir dimenticata e, citando Baricco:

"Avviene spesso che la gente si dimentichi di me. Lei non lo faccia:"

Ed è forse questa una delle paure più grandi ed inconsce: essere dimenticati. Monet voleva restare impresso. Monet voleva che si parlasse di lui anche dopo. Monet voleva impressionare. 
Monet è stato ed è impressionante.


Ci lasciamo qui, sperando di aver lasciato anche sta volta, qualcosa di bello sotto ai vostri occhi. 


Silvia Bottero, Claudia della Monica.


mercoledì 23 settembre 2015

Bosco di notte, Djuna Barnes - Recensione

La trama si apre con una serata da salotto nel Café de la Mairie du VI°, dove Felix, un giovane ragazzo ebreo ossessionato dalla sopravvivenza del nome di famiglia e dalla riscossione del rispetto dovuto ad un onorevole albero genealogico che lo porta a presentarsi convintamente come barone, viene introdotto alla presenza di O' Connor; questi, che null'altro è che un travestito di professione ginecologo abortista ancora fuori dall'albo medico, è, tuttavia, la boa attorno cui ruotano le vicende iniziali. Del resto, è proprio O'connor a condurre Felix nella camera del Récamier, dove Robin Vote giace svenuta; ed è grazie al continuo intervento del ''dottore'' che Felix e Robin si sposano. 
A matrimonio fatto, non molto dopo, la loro vita, travagliatamente per lei e felicemente per lui, viene segnata dalla nascita di un figlio.
E' proprio in questo momento che Robin scappa,sopraffatta dal rifiuto per il figlio e un sentimento di soffocamento provocato dal suo nuovo ruolo di madre. Successivamente si scoprirà che questo bambino è affetto da un lieve ritardo mentale, simbolicamente frutto d'un amore malato, quello tra lei e Felix, che le aveva dato solamente dispiaceri e paranoie.
Durante la sua 'fuga' che la porta negli Stati Uniti(anche se nelle lettere alla Coleman, la Barnes sottolinea lo stato soporoso di Robin che si concretizzava in un primo ipotetico battesimo del libro sotto il titolo de 'la sonnambula') Robin s'imbatte in Nora con cui intraprende una relazione, che per un periodo almeno, sembra averle dato la stabilità che le mancava. 
Quando si trasferiscono a Parigi, però, la storia è un'altra.
Robin riprende il suo andare, seguita saltuariamente da Nora, di bar in bar, fino al suo incontro con Jenny.
Sedotta dalla nuova conoscenza, Robin la segue e torna con lei negli Stati Uniti.


Nota personale:
Djuna Barnes
andando al di là della grande capacità di descrizione di una scabrosa parentesi della tanto beneamata, acclamata, belle èpoque parigina: la Barnes rientra senza molti dubbi in una stretta cerchia di autori non meglio individuata che nel termine di 'indecifrati''. di certo, non da me.
questo romanzo, a mio parere, tradotto eccellentemente da Donini per Bompiani, rientra sicuramente nelle grandi scoperte che la letteratura mondiale possa vantare.
Ma l'ermetismo di cui tanto circondiamo la Barnes, dipende da una reale difficoltà di comprensione testuale o piuttosto dalla difficoltà di comprensione di lettori bigotti?
il tesoro di questo romanzo sta nella capacità di trattazione di tematiche sociali che la Barnes e pochi altri hanno avuto. E forse è proprio per questo che va letto.
Ritengo rientri tra i libri che dovrebbero trovarsi sui nostri scaffali, insomma?!

No, penso che dovrebbe trovarsi direttamente tra le nostre mani.


- Alessandra Bartolomei

lunedì 21 settembre 2015

Top 10 dei registi da seguire

Ecco a voi la lista di coloro che a mio parere grazie al loro stile innovativo e alla loro creatività sono riusciti e continuano a dare un’importante contributo nella storia del cinema.
10.Federico Fellini
Esponente del Neorealismo , fu uno dei registi più visionari della storia del cinema. Dei suoi capolavori consiglio : La Dolcevita , Fellini , Satirycon e La Strada.
9.Lars Von Trier
Fondatore del movimento cinematografico Dogma 95 , costituito da un numero esiguo di registi ambasciatori di una campagna Anti-Hollywood . Lars Von Trier è uno dei registi più ambiziosi e innovativi della cinematografia moderna. Una personalità controversa , affascinata dalle varie sfaccettature del Male , un atteggiamento di ribellione nei confronti della religione da sempre considerata come un’antagonista di qualsiasi forma d’arte. Consiglio : Antichrist , Melancholia e Dogville.
8.Martin Scorsese
Considerato come uno dei più importanti registi della storia del cinema , Scorsese è un’artista capace di indagare e trattare temi delicati come la perdita dell’innocenza , l’ossessione per il potere o la redenzione. Ogni suo film è l’inizio di un viaggio psichedelico , pronto a portare a galla qualsiasi tipo di pulsione . Da vedere assolutamente : Taxi Driver , Quei Bravi Ragazzi , Shutter Island e Toro Scatenato.
7.Tim Burton
Un regista che ha saputo creare con il tema delle diversità un vero e proprio genere. Egli è riuscito a delineare una nicchia caratterizzata da universi visionari e fantastici , un mondo apparentemente minaccioso , ma che si rivela essere contraddistinto da una sensibilità e malinconia tipica di Burton. Ciò che fa amare al pubblico le storie di Tim Burton , è il senso di immedesimazione , ogni storia racconta momenti che tutti almeno una volta abbiamo provato : come la perdita di una persona cara , la solitudine o la sensazione di incomunicabilità dei sentimenti umani. Di questo regista consiglio: Edward Mani di Forbice , Nightmare Before Christmas , Big Fish e La Sposa Cadavere.
6. Michael Moore
Definitosi sempre come un ‘’monello e un provocatore’’ , Michael Moore è divenuto celebre grazie ai suoi documentari – denuncia . Un americano , fiero di esserlo, ma sempre pronto a schierarsi dalla parte dei cittadini oppressi da un governo capace solo di ignorare il volere del popolo .I documentari che consiglio : Bowling a Columbine e Fahrenheit 9/11.
5.Quentin Tarantino
Soprannominato come il Re degli eccessi , il cinema di Tarantino si contraddistingue per il suo eccentrico stile , un misto tra gli anni 70 e i giorni nostri . Armato di immaginazione , Tarantino riesce a ricreare in ogni suo film un universo permeato di crudeltà portato all’eccesso. Tuttavia questo mondo alieno a qualsiasi sentimento riesce ad accendere nell’animo dello spettatore un senso di partecipazione , il desiderio di prender parte a questo mondo delirante contrassegnato da situazioni grottesche , permeate da una violenza artificiosa. Consiglio: Kill Bill ( Volume I/II/III ), Pulp Fiction e Assassini Nati.
4.Woody Allen
Regista originale , ironico , creativo , abile nel costruire ottime commedie , capace di oltrepassare lo schermo e arrivare direttamente allo spettatore. Consiglio di Allen : Blue Jasmine , Io e Annie , Basta che Funzioni e Vicky Cristina e Barcellona.
3.Alfred Hitchcock
Geniale sotto ogni prospettiva artistica , dalla regia alle musiche al montaggio delle scene . Un uomo definito come il più grande maestro del brivido , artista capace di scavare nella psiche umana. Tre film che consiglio sono:  Psycho , Gli Uccelli e La Finestra sul Cortile.
2.Hayao Miyazaki
Uno dei più grandi registi d’animazione al modo . Al centro delle sue opere ci sono temi come l’amicizia , l’antimilitarismo. Protagonista di ogni sua pellicola la tradizione giapponese.Consiglio: La Principessa Monoke , La città Incantata e Il Castello errante di Howl .
1.Stanley Kubrick


Personaggio eclettico , geniale , abile a trattare e dirigere qualsiasi genere. Regista che ha saputo trasformare il cinema in una vera e propria arte . Consiglio: Arancia Meccanica , Full Metal Jacket , Shining e Il Dottor Stranamore.


- Maria Torromeo

domenica 20 settembre 2015

Ci vediamo a Murmansk.

Ansia. È la parola giusta. Gli studi dei medici di base mettono ansia. Almeno a me. Ma seriamente. la scena era ridicola e allucinante.  Soprattutto dato che mi trovavo lì solo perchè mi avevano chiesto di andarci. Beh, insomma. Dopo il "buongiorno" da studio medico che ci scambiammo, soppesai, non so perchè quell'incamiciata da cui mi divideva la scrivania. Anche quella da studio medico.  
La donna che mi stava di fronte aveva studiato per anni medicina per poi arrivare a chiedere a me "Mi dica, riposa bene?". Lo trovai vagamente triste. E probabilmente feci una faccia davvero comica mentre pensavo a questo. O forse il sorriso che mi rivolse era più di forma che la dissimulazione di un'espressione annoiata. Ci riflettei un po' prima di risponderle ad ogni modo: mi succedeva da un po' di tempo a questa parte di dormire poco. Per qualche giorno. Da qualche mese. Di qualche anno fa. Succedeva a me sia chiaro. Ma non soltanto a me, no?!
Le risposi soppesando le tapparelle da studio medico: "A dirle la verità non mi ricordo l'ultima volta che ho dormito davvero tanto e abbastanza profondamente da riposare del tutto. Ma altrettanto vero è che il sonno leggero non ha ricadute d'alcun tipo sulla mia vita.".
Anche il suo "Temo che questo non possa essere possibile, non crede?!" Fu da studio medico. Neutro. Insinuante. Faceva venire i dubbi esistenziali sul possibile cancro che avevi contratto la sera precedente sbattendo il mignolo del piede contro l'angolo del comodino.
Ecco. Maledizione ai 'non crede'. Se avevo appena detto il contrario evidentemente no, non credevo. E se secondo lei avrei dovuto invece crederlo, beh, mi risultava difficile comunque. Ma immagino che tutti la pensino come me se dico che contraddire un dottore è come avere la nausea e cercare di non vomitare mentre qualcuno sventola davanti al tuo naso un crispy mc bacon.
Me ne andai poco dopo, senza aver concluso nulla e con un'ora e mezza di mattinata buttata lì, per uscire con un foglietto in mano dove la prescrizione indica perentoria l'uso di valeriana. E a me perentoriamente le cose non vanno dette. La prescrizione diventò uno straordinario aeroplanino in pochi secondi e volò per la prima ed ultima volta fin nel cestino.
In ogni caso la cosa interessante successe dopo, ma se non avessi odiato per tre minuti e mezzo quel foglietto con tutte cose illeggibili sopra, al Bistrot non ci sarei andata.
Il Bistrot è un locale niente male, il caffè è buono (seriamente), la sala carina, la musica piacevole, il bancone da bar nascosto dietro una libreria che fa da muro divisorio tra le due zone. Nella mia testa funziona che chi vuole stare in compagnia sta nella sala, chi ha voglia di star solo invece, si siede al bancone.
Quando ci sono andata, c'ero solo io al bancone. E poi quel libro. O almeno pensavo che lo fosse. Gli mancava la copertina, la rilegatura a nudo come una modella della Dior in tv.
Quando s'incontra qualcuno di sconosciuto al bancone di un bar, ci giurerei, è sicuro non si parli granchè. Coi libri è diverso. Intanto di solito non li si incontra al bancone, nemmeno al Bistrot. Se ne stanno fermi sui loro scaffali.
Lui, invece, lì, in qualche modo, c'era arrivato.
E del resto, poi, aveva parecchia voglia di raccontare qualcosa, nonostante fosse piuttosto malconcio. Curiosa io o affascinante lui, lo tirai giù dal bancone e me lo aprii tra le le mani.
Fu allora che lessi il titolo, in seconda pagina. E non capii per quale strano motivo, uno avrebbe dovuto incontrarsi in un posto come Murmansk.

- Alessandra Bartolomei

venerdì 18 settembre 2015

A far l'amore con...

“Le sue mani sulle mie nudità disegnavano uno dei quadri più belli che avessi mai visto.” 

Un artista non è tale se non riesce a trasformare l'atto sessuale in arte. 
Amare forte qualcuno, amarlo al punto di voler sfiorare il suo corpo e memorizzare tutti quei punti, pallidi, che rabbrividiscono al tocco. 
Amare ancora, non averne abbastanza, volerne sempre di più. 
Stringere, lasciare, carezzare, respirare affannosamente e perdere le parole nei baci. 
Ripercorrere lo stesso corpo più e più volte. Ricordarselo. 
Un neo, una voglia. La voglia di possedersi. 
Di sentirsi al proprio posto, di posare la testa sul petto e sentire il tempo scandito da battiti irregolari di un cuore innamorato. 
Grandi artisti, grandi amanti. 
Keats faceva l'amore in un letto completamente bianco. Keats era fluidità di corpi intrecciati. 
Goethe piangeva. 
Amava sempre troppo. 
Passionale, violento quanto basta, desideroso di amore forte. Piangeva Goethe. 
Van Gogh faceva l'amore in un letto giallo. Almeno lì doveva trovarsi questa maledetta felicità. 
Almeno lì qualcosa doveva riempirlo. 
Almeno lì. 
Kierkegaard faceva l'amore e lasciava tocchi malinconici sul corpo della sua donna. Kierkegaard amava ad occhi tristi. 
Kierkegaard amava con la consapevolezza che sarebbe stata distruzione assicurata. 
Schopenhauer non amava. Schopenhauer occupava tempo. Schopenhauer aveva amato troppo per amare ancora. 
Picasso era diretto. Picasso era pittore. Picasso stringeva la donna dove erano le sue imperfezioni. Picasso amava gli errori. 
Picasso amava coloro che si trascinavano dentro una languida nostalgia. 
Monet faceva l'amore su un letto di ninfee, ogni volta ad un'ora diversa. Con un diverso sentimento. Con una diversa intensità. Con la stessa persona amata. Monet amava piano. Monet amava la delicatezza dell'essere. Monet voleva impressioni da esprimere poi con l'arte. 
Klimt voleva amarle tutte. Klimt amava l'atto. Klimt amava l'amore. Passionale, deciso. Dritto al sodo. Klimt voleva vederle godere, e le amava. Le amava tanto. E aspettava qualcuno che lo amasse così, per l'artista disperato che era. Per il testardo senza scampo. 
Magritte ha sempre aspettato. 
Aspettando si è ridotto ad un amore platonico. Ama l'idea. Sente nostalgia di due corpi uniti. Sente la voglia di non sapere dove inizi e finisca l'altra persona. 
Magritte aspetta. Magritte si è perso in un immaginazione. 
Joyce fa l'amore parlandoti. Joyce ti stringe e sussurra alle tue orecchie tutto ciò che senti, come fossi tu a bisbigliare, affannosamente. 
Joyce lo sa. 
Schiele ride di chi ama, ma ama forte. Schiele cerca nell'amore la rivincita contro la morte. Ma anche quella è 'fare l'amore', anche quella porta all'amore. Amore e morte. Schiele e l'amore. Corri Schiele. 
Ama Schiele. 

Sono solo fantasie. Mi piace immaginare come sia fare l'amore con personaggi simili. Reietti. 
Mi piace pensare al differente modo di porre le loro mani sul mio corpo.
Chi ci scriverebbe poesie, chi ci farebbe un quadro. 
Diversi modi di amare, la stessa voglia di farlo. Ancora. 
Ancora.


Non so se siate stati felici di leggere un articolo così, un po' fuori dal normale. Tuttavia ci tenevo a condividere ciò in voi. 
Alla prossima! 

-Silvia Bottero, Claudia della Monica 

venerdì 11 settembre 2015

Cinque quadri, cinque sensazioni

Buonasera lettori! 
Come state? Alcune di noi si son concesse una vacanza, ma ciò non implica che non ci sia da lavorare! 
Cinque quadri, cinque sensazioni differenti che possono nascere.

•Espressionismo: “L'urlo” - E. Munch




Straziante. Ecco come descriverei questo quadro. Assolutamente silenzioso, assolutamente frastornante. Il volto privo di qualsiasi accenno vitale, il corpo che si contorce. Un dolore che nasce da dentro ed è troppo forte per essere tenuto ancora. Quante volte, quanti giorni, quante notti ci siamo sentiti così? 
Munch denuncia una sofferenza insita nel suo cuore che gli impedisce di andare avanti. Lo fa sentire bloccato in un esistenza limitata. 
E l'unico modo per eliminarlo è urlare, urlare più che si può. 
E non esce nulla. 
E si tace. 
Tace. 

•Puntinismo: “Becco d'oca” - G. Seurat






Prendiamo un bel respiro. Fuori tutto. Onnipotenza. 
Siamo liberi. Liberi di essere. 
Qualsiasi cosa passa, quando saliamo su questo scoglio. 
Siamo noi, siamo potenti. Un delirio d'onnipotenza che cresce piano, sale fino ai capelli. Scende lungo il corpo. 
Liberi, per oggi. 
Non facciamoci portare via questa sensazione. 

•Surrealismo: “The palace of courtains 3” - R. Magritte 





Confinando il cielo, confiniamo noi stessi. 
Disillusione. Rassegnazione. La sensazione che non ci sarà un risvolto positivo. 
La voglia di trovare una piccola speranza. 
"Ciel" scritto in corsivo. Così delicato, così innocente. Si fa strada tra le volgarità del mondo. 
Abbiamo bisogno di sperare, di credere che prima o poi qualcosa cambi. 
Abbiamo bisogno di credere che oltre quel confine ci sia qualcosa. 
Che il cielo non sia limitato da 'c' e 'o'. Che si svincoli, che si risvegli, che riscopra se stesso. 
Abbiamo bisogno di andare oltre, in qualsiasi modo. 

•Metafisica: “Canto d'Amore” - G. De Chirico





Solitudine. Estremo bisogno di affetto. La voglia di farsi sentire, di comunicare silenziosamente. L'amore si muove piano, l'amore non conosce rumore. L'amore è mancanza di paure. L'amore è un canto. 
La statua lo sta pronunciando. De Chirico lo sta ricordando. De Chirico ricorda che spesso i nostri amori ce li cantiamo in solitudine. De Chirico ci sta ricordando che tutto è armonia: non a caso la statua ricorda le sculture greche. I greci ritenevano che l'amore fosse un'armonia dell'insieme, quindi arte. 
E se l'amore è arte, un canto d'amore può essere solo un quadro. 

•Optical art: “Le metamorfosi” - Escher 





Tutto cambia, eppure qualcosa resta. 
Una sostanza. 
La certezza che una base ci sia. La volontà di scoprire. La sofferenza della trasformazione. 
Maturità. 
Capacità di saper affrontare al meglio i problemi della vita. 
Escher diede la lettura di tutti i suoi quadri. 
Escher dettò le sue regole, in modo da non avere variazioni. 
Escher era e così doveva essere. 
Vivete senza paura. Vivete e dettate voi le regole. 
Vivete e accettate i cambiamenti, trovate strade, battetele voi, createle. 
Crescete. 



È un articolo un po' diverso, ma forse cambiare aiuta. 
Un forte abbraccio da Silvia e Claudia, come sempre. 


Silvia Bottero, Claudia della Monica