mercoledì 23 settembre 2015

Bosco di notte, Djuna Barnes - Recensione

La trama si apre con una serata da salotto nel Café de la Mairie du VI°, dove Felix, un giovane ragazzo ebreo ossessionato dalla sopravvivenza del nome di famiglia e dalla riscossione del rispetto dovuto ad un onorevole albero genealogico che lo porta a presentarsi convintamente come barone, viene introdotto alla presenza di O' Connor; questi, che null'altro è che un travestito di professione ginecologo abortista ancora fuori dall'albo medico, è, tuttavia, la boa attorno cui ruotano le vicende iniziali. Del resto, è proprio O'connor a condurre Felix nella camera del Récamier, dove Robin Vote giace svenuta; ed è grazie al continuo intervento del ''dottore'' che Felix e Robin si sposano. 
A matrimonio fatto, non molto dopo, la loro vita, travagliatamente per lei e felicemente per lui, viene segnata dalla nascita di un figlio.
E' proprio in questo momento che Robin scappa,sopraffatta dal rifiuto per il figlio e un sentimento di soffocamento provocato dal suo nuovo ruolo di madre. Successivamente si scoprirà che questo bambino è affetto da un lieve ritardo mentale, simbolicamente frutto d'un amore malato, quello tra lei e Felix, che le aveva dato solamente dispiaceri e paranoie.
Durante la sua 'fuga' che la porta negli Stati Uniti(anche se nelle lettere alla Coleman, la Barnes sottolinea lo stato soporoso di Robin che si concretizzava in un primo ipotetico battesimo del libro sotto il titolo de 'la sonnambula') Robin s'imbatte in Nora con cui intraprende una relazione, che per un periodo almeno, sembra averle dato la stabilità che le mancava. 
Quando si trasferiscono a Parigi, però, la storia è un'altra.
Robin riprende il suo andare, seguita saltuariamente da Nora, di bar in bar, fino al suo incontro con Jenny.
Sedotta dalla nuova conoscenza, Robin la segue e torna con lei negli Stati Uniti.


Nota personale:
Djuna Barnes
andando al di là della grande capacità di descrizione di una scabrosa parentesi della tanto beneamata, acclamata, belle èpoque parigina: la Barnes rientra senza molti dubbi in una stretta cerchia di autori non meglio individuata che nel termine di 'indecifrati''. di certo, non da me.
questo romanzo, a mio parere, tradotto eccellentemente da Donini per Bompiani, rientra sicuramente nelle grandi scoperte che la letteratura mondiale possa vantare.
Ma l'ermetismo di cui tanto circondiamo la Barnes, dipende da una reale difficoltà di comprensione testuale o piuttosto dalla difficoltà di comprensione di lettori bigotti?
il tesoro di questo romanzo sta nella capacità di trattazione di tematiche sociali che la Barnes e pochi altri hanno avuto. E forse è proprio per questo che va letto.
Ritengo rientri tra i libri che dovrebbero trovarsi sui nostri scaffali, insomma?!

No, penso che dovrebbe trovarsi direttamente tra le nostre mani.


- Alessandra Bartolomei

Nessun commento:

Posta un commento