Da quel giorno al Bistrot ne passarono alcuni, uno dietro l’altro,
e durante ognuno di questi, il libro rimase sempre un punto fisso nella mia
mente, tra i miei pensieri; un po’ per l’incontro assurdo; un po’ perché non
riuscivo a riprenderlo in mano per capirci qualcosa. E la cosa mi mandava ai
matti.
Tuttavia quando finalmente, dopo circa una settimana, ebbi
occasione di ritagliare un po’ di spazio solamente per me e lui, capii che
molto probabilmente, da quell’istante, la fatica più grande l’avrei fatta per
staccare gli occhi da quelle pagine.
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Il
livello di suicidi nell’esercito russo è altissimo.
Molti
deboli muoiono di malattie che avrebbero potuto essere curate.
Molti
“scompaiono”: partono per la leva e non se ne sa più niente.
Molti non
ce la fanno. Ma io si. Ce l’ho fatta. E insieme a chi ce la fa con me, e prima,
e dopo me, io, e loro, siamo l’orgoglio e la forza di questa nazione.
Il mio
nome è Irek Aleksandr Volkov. Marinaio della flotta del Nord. Comandante del
sottomarino TK-20. Classe Akula.
Attualmente
sono di stanza nel golfo di Kolsk. Presso Murmansk. Dopo tre mesi in
mare, siamo sbarcati da una settimana.
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Murmansk. |
La nostra “porta sull’Artico” è una giovanissima città di
pescatori e marinai di 200.000 abitanti. Circa.
All’inizio, nel 1916, quando venne costruita dal nulla, fu
dotata di un bacino navale di dimensioni colossali.
Ma non bastavano gli uomini, non bastavano le braccia, e
soprattutto non bastavano i pescatori.
La mancanza venne colmata in breve tempo: ogni sabato mattina all’alba, un nostromo e 3
marinai al seguito venivano spediti, con tanto di carretto, per le bettole a ‘’prelevarne’’
alcuni ospiti.
Caricavano quegl’uomini come sacchi di patate, e con ‘alcuni’,
intendo tutti coloro che avevano alzato il gomito la sera prima. Li buttavano
sui pescherecci e dopo avergli fatto passare la sbronza li mettevano a
lavorare. Medico? Ti svegliavi ed eri diventato un pescatore. Punto.
La principale fornitrice di tali “collaboratori” era
Shangai. Tant’è che uno quartieri della città all’inizio era abitato da cinesi.
Per quanto possa sembrare strano, i primi abitanti di Murmansk furono proprio
loro.
Commerciavano il samogon, una vodka di bassa qualità fatta
in casa, atta a scaldare gli animi dei neo pescatori, e la chanzha, vodka
anch'essa ma di origine cinese; in poco tempo, vodka e gioco d’azzardo trasformarono
il giovane e robusto porticciolo in una Cape Town oltre l’Artico.
Ma cinesi e mignotte o meno, Murmansk era nata
sostanzialmente dalla guerra e per la guerra.
Durante la prima guerra mondiale avevamo disperatamente
necessità di rifornimenti: l’unica soluzione era costruire un porto nel Golfo
di Kolsk e una ferrovia che ci arrivasse da San Pietroburgo. La ferrovia fu
costruita in un anno dai prigionieri tedeschi e austriaci, dai profughi dei
governatorati occidentali e dai cinesi. E Murmansk si riempì rapidamente d’abitanti.
E di soldati.
Vicino Murmansk ha sede la base della flotta del Nord, la
Severomorsk, e le basi dei sottomarini atomici. Direttamente entro il perimetro
della città invece, si trova la base dei rompighiaccio atomici e una stazione
elettrica nucleare. Qui tutto è nucleare.
La prima volta che salpai da qui, passai la notte precedente
la mia partenza, l’ultima della mia licenza, in un locale dove un vecchio ubriaco mi
impresse a fuoco nella memoria le parole che, adesso, ogni volta che torno,
sento riecheggiare nella mia testa: ‘’Murmansk è la bettola russa del mare di
Barents col culo su un focolaio pronto a scoppiare al minimo urto. E questo perché
il mare non ghiaccia mai.’’. Si fermò
per bere, e sbattè il palmo della mano indignato. Io lo guardavo e basta.
‘’Non mi guardare così ragazzo! Non fissarmi così. So quel
che dico. Il mare non ghiaccia mai qui, no?! sai cosa vuol dire questo, ragazzo
mio?! Questo è il motivo per cui hanno messo tutta questa merda radioattiva nel
mio mare. Fai finta di niente e muori lentamente. Io anche faccio finta di
niente. E morirò. Nasciamo segnati. Ma io darei la vita per questo posto proprio
come te. Per questo mare avvelenato che non ghiaccia mai.’’ Fece un’altra pausa
e abbassò la voce stringendo gli occhi. Sembrò volesse continuare. Ma rimase
zitto, e io gli feci compagnia nel suo silenzio.
Ogni volta che torno qui, ripenso a quelle parole. Alla faccia
di quell’uomo. A quella che poteva invece essere stata la mia, di faccia, mentre
parlava. Ogni volta mi ripeto ‘’ Nasciamo segnati. Ma moriremmo tutti per
questo mare. Per questo nostro paese.’’. ogni volta ripenso a quello che è successo.
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K-141 kursk, classe Nato Oscar II |
La mattina dopo, mentre il mio cervello combatteva col
marchio che quel vecchio aveva impiantato in me, ricordo che tre quarti di
quello che sarebbe stato il mio equipaggio era rimasto nel bacino navale per
seguire o eseguire in prima persona i lavori di manutenzione del nostro
sottomarino. Ma per quel che ne sapevo, dire che si trattava di una creazione
perfetta era poco. Non aveva nessun problema. Nessun difetto. Gennadij Ljachin
era un ottimo comandante. E io mi sarei
imbarcato per la prima volta come ufficiale di rotta. A bordo del sottomarino nucleare
migliore degli ultimi 20anni. Il K-141.
Il Kursk.
- Alessandra Bartolomei
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