martedì 29 settembre 2015

Ci vediamo a Murmansk. (pt.2)

Da quel giorno al Bistrot ne passarono alcuni, uno dietro l’altro, e durante ognuno di questi, il libro rimase sempre un punto fisso nella mia mente, tra i miei pensieri; un po’ per l’incontro assurdo; un po’ perché non riuscivo a riprenderlo in mano per capirci qualcosa. E la cosa mi mandava ai matti.
Tuttavia quando finalmente, dopo circa una settimana, ebbi occasione di ritagliare un po’ di spazio solamente per me e lui, capii che molto probabilmente, da quell’istante, la fatica più grande l’avrei fatta per staccare gli occhi da quelle pagine.
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Il livello di suicidi nell’esercito russo è altissimo.
Molti deboli muoiono di malattie che avrebbero potuto essere curate.
Molti “scompaiono”: partono per la leva e non se ne sa più niente.
Molti non ce la fanno. Ma io si. Ce l’ho fatta. E insieme a chi ce la fa con me, e prima, e dopo me, io, e loro, siamo l’orgoglio e la forza di questa nazione.
Il mio nome è Irek Aleksandr Volkov. Marinaio della flotta del Nord. Comandante del sottomarino TK-20. Classe Akula.
Attualmente sono di stanza nel golfo di Kolsk. Presso Murmansk. Dopo tre mesi in mare, siamo sbarcati da una settimana.
Murmansk.
La nostra “porta sull’Artico” è una giovanissima città di pescatori e marinai di 200.000 abitanti. Circa.
All’inizio, nel 1916, quando venne costruita dal nulla, fu dotata di un bacino navale di dimensioni colossali.
Ma non bastavano gli uomini, non bastavano le braccia, e soprattutto non bastavano i pescatori.
La mancanza venne colmata in breve tempo:  ogni sabato mattina all’alba, un nostromo e 3 marinai al seguito venivano spediti, con tanto di carretto, per le bettole a ‘’prelevarne’’ alcuni ospiti. 
Caricavano quegl’uomini come sacchi di patate, e con ‘alcuni’, intendo tutti coloro che avevano alzato il gomito la sera prima. Li buttavano sui pescherecci e dopo avergli fatto passare la sbronza li mettevano a lavorare. Medico? Ti svegliavi ed eri diventato un pescatore. Punto.
La principale fornitrice di tali “collaboratori” era Shangai. Tant’è che uno quartieri della città all’inizio era abitato da cinesi. Per quanto possa sembrare strano, i primi abitanti di Murmansk furono proprio loro.
Commerciavano il samogon, una vodka di bassa qualità fatta in casa, atta a scaldare gli animi dei neo pescatori, e la chanzha, vodka anch'essa ma di origine cinese; in poco tempo, vodka e gioco d’azzardo trasformarono il giovane e robusto porticciolo in una Cape Town oltre l’Artico.
Ma cinesi e mignotte o meno, Murmansk era nata sostanzialmente dalla guerra e per la guerra.
Durante la prima guerra mondiale avevamo disperatamente necessità di rifornimenti: l’unica soluzione era costruire un porto nel Golfo di Kolsk e una ferrovia che ci arrivasse da San Pietroburgo. La ferrovia fu costruita in un anno dai prigionieri tedeschi e austriaci, dai profughi dei governatorati occidentali e dai cinesi. E Murmansk si riempì rapidamente d’abitanti. E di soldati.
Vicino Murmansk ha sede la base della flotta del Nord, la Severomorsk, e le basi dei sottomarini atomici. Direttamente entro il perimetro della città invece, si trova la base dei rompighiaccio atomici e una stazione elettrica nucleare. Qui tutto è nucleare.
La prima volta che salpai da qui, passai la notte precedente la mia partenza, l’ultima della mia licenza,  in un locale dove un vecchio ubriaco mi impresse a fuoco nella memoria le parole che, adesso, ogni volta che torno, sento riecheggiare nella mia testa: ‘’Murmansk è la bettola russa del mare di Barents col culo su un focolaio pronto a scoppiare al minimo urto. E questo perché il mare non ghiaccia mai.’’.  Si fermò per bere, e sbattè il palmo della mano indignato. Io lo guardavo e basta.
‘’Non mi guardare così ragazzo! Non fissarmi così. So quel che dico. Il mare non ghiaccia mai qui, no?! sai cosa vuol dire questo, ragazzo mio?! Questo è il motivo per cui hanno messo tutta questa merda radioattiva nel mio mare. Fai finta di niente e muori lentamente. Io anche faccio finta di niente. E morirò. Nasciamo segnati. Ma io darei la vita per questo posto proprio come te. Per questo mare avvelenato che non ghiaccia mai.’’ Fece un’altra pausa e abbassò la voce stringendo gli occhi. Sembrò volesse continuare. Ma rimase zitto, e io gli feci compagnia nel suo silenzio.
Ogni volta che torno qui, ripenso a quelle parole. Alla faccia di quell’uomo. A quella che poteva invece essere stata la mia, di faccia, mentre parlava. Ogni volta mi ripeto ‘’ Nasciamo segnati. Ma moriremmo tutti per questo mare. Per questo nostro paese.’’.  ogni volta ripenso a quello che è successo.
K-141 kursk, classe Nato Oscar II
La mattina dopo, mentre il mio cervello combatteva col marchio che quel vecchio aveva impiantato in me, ricordo che tre quarti di quello che sarebbe stato il mio equipaggio era rimasto nel bacino navale per seguire o eseguire in prima persona i lavori di manutenzione del nostro sottomarino. Ma per quel che ne sapevo, dire che si trattava di una creazione perfetta era poco. Non aveva nessun problema. Nessun difetto. Gennadij Ljachin era un ottimo comandante.  E io mi sarei imbarcato per la prima volta come ufficiale di rotta. A bordo del sottomarino nucleare migliore degli ultimi 20anni. Il K-141.

Il Kursk.


- Alessandra Bartolomei

1 commento:

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